Loricati in abito bianco

Loricati in abito bianco
Loricati su Serra Crispo

sabato 28 dicembre 2013

Al Monte Pollino per il "canale nascosto". Ovvero attenti a seguire tracce sconosciute.


Il "canale nascosto" a destra del canale O del Monte Pollino
Dopo una salita di assaggio al Sirino (sorprendente la differenza di copertura nevosa tra i due versanti della montagna: a Nord si parte sci ai piedi da 1400, a Sud c'è neve solo nei canali da 1700) e dopo la consueta visita natalizia ai loricati di Serra Ciavole non potevamo non fare un salto al Pollino.
E' appena passata una perturbazione che ha imbiancato però solo dai 1400, quanto basta per creare problemi sulle strade, chissà se ha ricoperto bene, in basso, il primo tratto di bosco.
Poco dopo Visitone abbiamo davanti a noi lo spazzaneve, preferiamo quindi posteggiare e proseguire con gli sci.
Evento eccezionale, c'è una traccia di sci, la seguiamo sperando che punti nella nostra stessa direzione.
Nel bosco sotto colle Gaudolino
Gli alberi sono incrostati di neve, all'altezza di Gaudolino il fondo è alto e la traccia battuta è comoda da seguire.
Per la verità non punta al classico tronco cavo che individua l'attacco del sentiero, ma tanto sempre li si finisce, una traccia da seguire è così comoda.
Dopo qualche altro zig-zag arriviamo allo sbocco della grande valanga e ci rendiamo conto che la traccia prosegue su per il canalone.
Con questa neve sarebbe più agevole seguire il sentiero. Però se la traccia va su, perchè non seguirla?
Il canale è certamente più ingaggioso ed è un pò che non lo facciamo.
Basta stare sulla sinistra, portarsi nel tratto di bosco ripido (e vecchio, quindi più ampio) fino sotto le rocce e da li contornare la boschina, entrare dentro ed uscire sulla spalla.
Finalmente fuori dall'intricatissimo bosco.

Ma la traccia va verso destra ... e noi seguiamo la traccia.
Prima o poi ritornerà di la, ma non è così e la situazione si aggroviglia sempre di più.
Siamo sul lato destro del canalone, in una boschina fitta e raggiungiamo il tracciatore che sbuffa e lotta con i faggi. Ci presentiamo e passiamo avanti per restituire il favore.
Qui o si torna indietro o si prova ad uscire verso l'alto, a sinistra il groviglio del bosco è peggiorato dalle slavine che hanno prodotto una fascia impossibile da attraversare. Cate sfruttando il suo 'baricentro basso' e relativi sci più corti tenacemente va avanti e noi seguiamo, spesso tirandoci su di peso su rami e tronchi. Alla fine usciamo a rivedere il sole e siamo allo sbocco di un canalino, noto come 'il canale nascosto' (a buon motivo).
L'avevo percorso diversi di anni fa (senza sci) ed esce poco sotto la vetta. E' un canale da ramponi e piccozza, e noi non abbiamo ne gli uni ne l'altra (sono rimasti in macchina, non pensavamo di infilarci in posti così). Proviamo a salire, ci diciamo che alla peggio ridiscendiamo e tagliamo giù nel canale vero e proprio.
All'inizio si sale bene, è un pendio ripido, sui 45°, ma con fondo compatto. Con i rampanti si va.
Nela parte iniziale del canale

Man mano che si sale però le cose cambiano. Ai bordi del canale ci sono tratti di neve compressa che tende a slittare sopra il fondo duro. Al centro invece la neve dura mostra placche di ghiaccio.
Dopo un centinaio di metri decido di mettere gli sci in spalla e proseguire a piedi.
Cate segue imperterrita con gli sci, Roberto prosegue a piedi ma, buon per lui, ha i ramponi e li mette.
Nel tratto finale il canale impenna, saranno 55°. Roberto passa avanti tranquillo grazie ai ramponi ed io seguo in traccia nelle buchette che scava scalciando a più non posso.
Mi chiedo come diavolo faccia Cate a stare ancora sugli sci, ed infatti ad un tratto parte giù in scivolata e non si ferma prima di un centinaio di metri. E' brava a non ribaltarsi ma per fermarsi ci vuole un pò. Dopo un pò di suspence dice che è tutto ok e riparte ... con gli sci ma poi decide anche lei che è meglio lasciar perdere e, prima di impegnare l'ultimo tratto ripido, mette anche lei gli sci in spalla.
Più si sale più si impenna

In vetta facciamo le foto di rito e due chiacchiere e decidiamo di scendere verso la sella Dolcedorme.
Sul versante sud la neve è un pò pesante, nel tratto di bosco fino ai piani invece c'è una farina meravigliosa ed, imbroccando la linea giusta di discesa, sgusciamo fuori dal bosco con una bellissima sciata.
Qua l'aderenza è al limite

Ci tocca ora attraversare i piani ed infine giù per la solita forestale, si guada e si risale fino al colle dell'Impiso.
Alla fine grazie a Roberto ed alla sua traccia sbagliata abbiamo inaugurato un nuovo (sconsigliabile ai non masochisti) itinerario di sci-alpinismo sul Pollino ed archiviato una nuova bella esperienza di cui fare tesoro.



E,dopo il brivido della scivolata, si rassegna a mettere gli sci in spalla nella rampa finale


Note sugli itinerari:
L'itinerario è sconsigliabile con gli sci per ovvi motivi, tranne che in condizioni particolari. E' un canale di scarico naturale di slavine, da evitare in caso di nevicate consistenti.
Molto consigliabile il canale principale, se ci si tiene sul bordo sinistro. L'enorme slavina che lo segna si verificò dopo una nevicata abbondantissima che segui ad un mese di tempo asciutto, risale a quasi venti anni fa.
Entrambi hanno esposizione Ovest, la neve si ammorbidisce la sera e rigela di notte.
Al mattino quindi è generalmente molto dura e servono ramponi/rampanti e piccozza.
Il lato O del Pollino visto dalla Serra del Prete.
In verde la traccia nel canalone pelato dalla slavina.
In rosso il cosiddetto "canale nascosto".

sabato 14 dicembre 2013

All'Acquafraggia in un inverno anomalo.

Il lago gelato dell'Acquafraggia

Quando la neve scarseggia ci sono frotte di sci-alpinisti che girano come bestioline impazzite alla ricerca di fazzoletti di neve su cui far scorrere i loro sci.
Ci sono quelli che si sfogano risalendo qualche pista preparata ma non aperta.
Altri che si adattano a concatenare conche innevate con tratti erbosi su cui strisciare con le amate pelli.
Generalmente poi i posti praticabili sono pochi e quindi risultano anche sovraffollati.
In attesa di un pò di sana neve decidiamo di lasciare gli sci a riposo e di fare un percorso con vista sulle nord della Bregaglia.
A Piuro però ci accorgiamo di aver dimenticato a casa i documenti, ripieghiamo quindi sull'Aquafraggia.
Lasciamo il fondovalle ricoperto di brina e gelo, man mano che si sale sale anche la temperatura.
Savogno ed il fondovalle nel gelo
Superato Savogno ci rendiamo conto che la valle resta comunque in ombra ancora per un lungo tratto. Raggiungiamo quindi l'agognato sole a quota 1400 circa, in corrispondenza di alcune baite.
Il sentiero in alcuni tratti è ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio su cui è impossibile stare in piedi, bisogna aggirarli in qualche modo.
Ci sono diverse cappellette che che testimoniano l'uso che se ne faceva per il transito del bestiame ai pascoli alti. Il rapporto con la montagna non era certo idilliaco, si trattava di fatica e sofferenza, pura sopravvivenza. Non si celebrano la gioia e la bellezza delle alte quote (lusso riservato a chi sale per diletto e con la pancia piena). Semmai si cerca di invocare la protezione dai pericoli e la riduzione al minimo dei danni "Cari Gesù,Giuseppe e Maria, aiutatemi nell'ultima agonia".
Una delle cappelle votive lungo il percorso

A proposito di pericoli, un improvviso boato e vedo rotolare giù dei massi.
Uno della dimensione di una lavatrice passa sul sentiero un centinaio di metri davanti a noi.
Il sole scaldando la parete ha "scollato" i sassi dal ghiaccio che a sua volta li aveva separati dalla roccia madre. La natura lavora in silenzio, ma poi mostra all'improvviso la sua forza.
I nostri sensi si acuiscono, tesi a percepire ogni minimo rumore. Capisco i camosci che si muovono sempre circospetti e con le orecchie ben tese. Loro devono guardarsi non solo dalla natura, ma anche dai cacciatori.
Traversiamo velocemente il canale su cui hanno scaricato i sassi, alla fine un altro rombo, stavolta però è una colonna di una cascata di ghiaccio che è crollata.
Un'ultima serie di rampe erbose e siamo al lago.
Questo è completamente ghiacciato, ma sotto si sente ancora scorrere acqua. Ogni tanto il ghiaccio in superficie si tende e si assesta emettendo dei cupi rimbombi. Come faranno le trote a sopravvivere al buio la sotto per i prossimi 5 mesi?
Attorno c'è solo silenzio e vuoto, 2000 metri in basso c'è un tripudio di mercatini e luci natalizie, e qui sembra di stare in una zona remota del Tibet.
Dopo uno spuntino ci avviamo in discesa, decidiamo di fare la traversata verso Corbia.
L'alpeggio di Corbia
Ci tocca quindi di riattraversare proprio sotto la zona delle cascate di ghiaccio.
Confidiamo nel fatto che ora la zona è in ombra da un pò, quindi quello che doveva cadere è caduto.
Il passaggio inoltre è più  in alto, il tratto a rischio è quindi più breve, circa 50 metri.
Da li ci rendiamo conto che il percorso è più lungo del previsto, con una serie di saliscendi si attraversano diversi canalini innevati su cui fare attenzione.
Il sentiero è stato praticato da animali che, evidentemente, lo usano come passaggio tra i due versanti della valle al riparo dalle presenze umane. Una piccozza ed un pezzo di corda farebbero comodo, sono lì che riposano nel cofano della macchina. Il conforto sarebbe solo psicologico, però darebbero tranquillità.
L'ultimo sole sul Piz Badile

 

E' però dall'inquietudine e dalla tensione che nascono una maggiore attenzione e senso di se e dei pericoli che ci circondano. Si tratta di trovare un giusto equilibrio tra i due estremi, abituandoci mentalmente a pensare che, senza appendici tecnologiche, siamo ancora capaci di stare in piedi.
Finalmente il sentiero comincia a scendere decisamente e la neve sparisce, raggiungiamo così le prime baite sopra Corbia. E' un posto veramente speciale, un prato sospeso sulla Bregaglia con vista magnifica sulla catena. Da Cengalo e Badile (che ostenta una magnifica parete Ovest illuminata dal sole che volge al tramonto) fino al Gruf, al Pizzo di Prata, e giù il piano di Chiavenna, e di là le Lepontine tra Ledù e Forcola.
Lapide commemorativa di partigiani caduti il 20/4/45
Questi prati continuano a prendere il sole per ore, quando in valle le ombre non sono ancora andate via o sono già ridiscese. Un posto da meditazione.
La discesa verso Dasile è complicata da uno spesso strato di foglie che nasconde il sentiero. Non sono state bagnate da molta pioggia, ci penserà la neve dell'inverno a schiacciarle a terra.
Dopo Dasile il sentiero è fortunatamente più comodo, pur avendo la frontale non ne facciamo uso, la luna è sufficiente ad illuminarci il cammino e a guidare gli ultimi non più baldanzosi passi verso il fondovalle da cui la brina non è mai andata via.

martedì 20 agosto 2013

Arrampicata sul monte Alpi. Più alpinismo di così!

Alla fine della via, comincia la parte più ignota

Pochi giorni dopo una escursione sul Monte Alpi,  giunge notizia dell'arrivo di un amico in visita dal nord.
Visto l'orario di arrivo (le 6 con autobus da Milano) colgo l'occasione per ritornare sul "luogo del delitto" per fare la nuova via di Ferranti sul monte Alpi, la "Stellina delle Alpi".
Sfruttando la partenza di buon ora si percorrerebbe infatti tutta la via all'ombra, che risulta quindi piacevolissima anche in piena estate.
La via nella prima parte è parallela alla più nota Via della Continuità. Dove servono si trovano buoni chiodi e cordini (di qualcuno di questi forse non è meglio fidarsi troppo e fare uso dei propri).
I primi tiri sopra il ghiaione di attacco.
Fare una via di questo tipo dà soddisfazioni diverse rispetto alla falesia.

Non c'è magari l'alta difficoltà, ma c'è il gusto di cercarsi il percorso, una sorta di caccia al tesoro consistente in chiodi e cordini.

Il gusto di cercare l'albero od il sasso o la fessura giusti su cui mettere la propria propria protezione intermedia (che rimuoveranno gli altri
componenti della cordata).
La soddisfazione di avere intuito il percorso giusto, rientrando in sintonia con il primo apritore.

Infine, soprattutto, il trovarsi in ambiente, tra canaloni selvaggi dove passano solo pochi appassionati, tra loricati abbarbicati alle rocce
con il silenzio interrotto magari dall'improvviso fischio di un rapace che ti sfreccia pochi metri sulla testa.

Si crea poi, nel salire in cordata in ambiente, un'intesa particolare tra i componenti.
Non solo ci si capisce con un cenno, ma si crea una sorta di spazio parallelo in cui si smette di essere quelli che si è nella vita "a terra", ridiventi l'animale primordiale che esplora un ambiente nuovo con le cautele del caso ma anche con l'emozione della scoperta fatte man mano.    
La "stellina" sulla stupenda placconata che precede l'anfiteatro.
In alto s'intravede l'inizio del canalone.

Dopo l'ultima stupenda placconata ci ritroviamo nell'anfiteatro dove bisogna ricongiungersi all'altra via.

Sono già stato due volte qua, eppure sembra un posto del tutto nuovo, basta un'angolazione diversa
e tutto sembra diverso.
Traversata la cengia vedo verso i cespugli dove dovrebbe esserci una calata.

La trovo e solo in quel momento ho la certezza di essere al posto giusto!
A questo punto cedo il comando della cordata all'ospite dandogli le indicazioni sull'ubicazione dei
prezioni chiodi (che non sono molto evidenti, ma così che gioia quando li stani).

Si entra nel canalone tra lastre a 'franapoggio'.
Due  tiri nel canalone e siamo alla campanella, dove la maggior parte di quelli che fanno le vie fanno dietro-front, non per la difficoltà della salita quanto per la precarietà della discesa.

Dopo questa c'è un muretto fisico e polveroso che si merita in pieno un bel VI (ma volendo si può azzerare aggrappandosi ad un provvidenziale cordone).

Segue un tiro in diagonale verso destra dove l'arrampicata sconfina nel tree climbing, qui riprendo la guida perchè ero memore del fatto che era difficile imbroccare l'uscita giusta, ed il terreno è infido e presenta
dei blocchi instabili.


Lottando tra rocce e rami arrivo alla 'sosta' ricavata con cordoni vecchiotti su
un residuo di loricato ancora più consunto. Da questo, volendo calarsi in doppia, bisognerebbe puntare ad un altro loricato, ben più solido che svetta una trentina di metri sulla campanella.
Una doppia da albero ad albero, buona per Tarzan!



La provvidenziale sosta loricata. Quanto resisterà ancora?

E' vero che i loricati sono coriacei, ma in questo caso il terreno a cui è avvinghiato il nostro
non è compattissimo, infatti Fabrizio, reso edotto della situazione, approva in pieno la mia idea
di proseguire corda in spalla fino in cima.

Un pratone ripido, un'ultima balza rocciosa, ed arriviamo all'ultimo loricato,
fine ufficiale della via.

La riluttante ma sempre presente Caterina.
Sembra che finanche si diverta!

Aggiorniamo il libro di vetta (per la verità non risultano molte ripetizioni, siamo forse i frequentatori
più assidui assieme agli apritori) e poi ci liberiamo di imbraghi, corde e ferraglia varia.
Dopo una sosta ristoratrice, ci avviamo verso l'alto per pratoni ripidissimi e crestine rocciose.

Una coppia di rapaci (sembrano avvoltoi o gipeti ) ci sorvola lentamente.
Ad un certo punto nel canalone, alla nostra sinistra, vediamo un vitello che deve essersi affacciato
a curiosare ed è precipitato sotto, magari spaventato da uno dei temporali dei giorni scorsi.
C'è da saziare legioni di avvoltoi, chissà se non si presenterà a pranzo anche qualche lupo.
La vista è un pò inquietante e ci esorta ad avanzare con circospezione e cercare con cautela il percorso di salita.


Vediamo un po chi è passato da queste parti
Qua ovviamente non c'è nessun segnale visibile, dopo un pò si capisce ad occhio che la salita
diretta non è fattibile, tagliamo il canalone e risaliamo per la cresta parallela,
per erta salita con diversi passi di I/II ma senza passaggi obbligati.

Sbucati infine sul crestone NO proseguiamo verso la vetta mentre a N incombono dei grossi cumuli rombanti
di tuoni. Ci avviamo quindi velocemente verso il ripido pendio S contando sul fatto che nel sottostante bosco
ci sarà di certo una traccia di sentiero che riporta ai pascoli sotto l'attacco della via.





L'infido canalone di uscita.
La via di roccia finisce sui pini in basso a sinistra.

Il sentiero c'è, ma non è evidente e facciamo vari tentativi, per tracce lasciate da animali al pascolo, fino a trovare quella giusta.

Arriviamo infine alla macchina dopo 10 ore che stiamo in giro, soddisfatti e pronti per la prossima avventura di domani, un rinfrescante Raganello!  

venerdì 16 agosto 2013

Al Monte Alpi, tra i boschi e le rocce dell'Appennino lucano. Escursionismo.

Il versante O del monte Alpi
Il monte Alpi è un massiccio montuoso, composto da due cime, posto all'estremità nord-occidentale del parco del Pollino.
E' una montagna che ripropone in piccolo ed in un territorio abbastanza limitato le tante facce del parco.
Basta un giorno per girargli intorno e passare dai fitti boschi del versante nord, ai pascoli di alta quota del sud ed alle pareti strapiombanti del versante ovest con tanto di pini loricati abbarbicati alla roccia.
L'avvicinamento facile lo rende comodamente raggiungibile a tutti (almeno nelle parti basse), ma la montagna è decisamente poco frequentata, meno di quanto meriterebbe.
Di fatto ho raramente trovato qualcuno.
Questa estate in un'occasione abbiamo attraversato il magnifico bosco Favino, teatro del rito della 'ndenna' (analogo a quello eseguito a Viggianello o Rotonda) praticato qui dagli abitanti di Castelsaraceno.
la 'ndenna' che svetta tra le case di Castelsaraceno
Questo consiste nel matrimonio simbolico tra un faggio (il maschio) ed un abete (la femmina) scelti e tagliati anno dopo anno nei boschi e poi trascinati, tra musiche popolari e solenni bevute e mangiate, in paese. La festa si fa in onore di S. Antonio di Padova.
Qui vengono uniti ed issati al centro del paese, con tanto di offerte appese in alto a disposizione di chi osa scalarli.
Risalendo il canalone NE sopra la 'Niviera'
Per la discesa è più saggio ripercorrere parte della strada di salita e proseguire poi per la cresta E dove 'dovrebbe' esserci il sentiero segnalato a bolli.
Noi abbiamo traversato verso la cima del monte Alpi, siamo scesi per la cresta NO fino al bosco e poi abbiamo proseguito per labili tracce con una diagonale che ha tagliato tutto il bosco del versante N.
Anche se il bosco sembra invitare a scendere direttamente, è meglio evitare l'invito.
Infatti il bosco ricopre e nasconde una fascia rocciosa, con diversi salti, che divide la parte alta della montagna dalla bassa.
Probabilmente questo bosco è frequentato solo da lupi, cinghiali, ed escursionisti con il gusto dell'esplorazione e buone caviglie.
Dopo aver traversato i tanti canali che scendono nel bosco (con la neve senza ramponi diventa proibitivo) arriviamo a quello che sembra l'ultimo da cui, a balzi e saltelli, raggiungiamo una sterrata nel bosco e da qui il parcheggio.
La parte finale della cresta NE, In fondo il monte S. Croce
Ci fermiamo dopo alla falesia attrezzata dell'Armizzone a fare qualche tiro (quelli alla nostra portata).
Questa falesia è particolare;  si arrampica su alcune estrusioni di silice che sbucano qua e la dal calcare, per cui in caso di volo queste potrebbero essere ben 'dolorose'.
Le vie sono assortite, vanno dal 5a al 7a, ben attrezzate.
Il versante N del massiccio, boscoso ed inciso dai canali. A sinistra il canalone della Neviera.

Il posto è 'bucolico', gli unici rumori che si sentono sono quelli del vento, qui sempre presente, e delle mucche al pascolo nei dintorni. Una bella falesia estiva dove passare una giornata in tranquillità, tra un'arrampicata, un pic-nic ed una passeggiata.
Concludiamo la giornata in bellezza facendo un salto a Castelsaraceno. Svetta in mezzo al paese l'abete dell'ultima sagra.
Giriamo senza meta per i vicoli del paese fino ad affacciarci sulla gola del 'Racanello' che separa lo sperone su cui è appoggiato il paese, dall'immenso (non tanto per altezza,  anche se è pur sempre 1700 mt, quanto per estensione) monte Raparo che incombe sul paese.
Una podolica  si gode il panorama dalla vetta. Tra le foschie il golfo di Sapri.

lunedì 5 agosto 2013

Torre di Babele tra le torri della grignetta

Sulla Segantini "fumigante"

A chi è andato ad arrampicare sarà di certo capitato di non intendersi con il suo socio e ritrovarsi magari a viaggiare entrambi senza nessuno che assicura fino a che, dalla mollezza della corda, ci si rende conto che c'è quacosa che non va.
In occasione di una escursione congiunta con i nostri amici d'oltralpe alla grignetta, ho pensato di proporre,ad uno di loro di fare la cresta Segantini.
Quale occasione migliore di far conoscere le meraviglie della grigna?
Ci siamo quindi divisi dal resto del gruppo alla deviazione per il colle Valsecchi mentre il resto del gruppo ha proseguito per il Rosalba, con obiettivo di ritrovarci in cima e scendere poi dall'altro versante.
Non avevavo però valutato il fatto che le difficoltà linguistiche sarebbero state più ardue di quelle alpinistiche.
Se infatti entrambi possedevamo un inglese che ci faceva intendere, ci mancava del tutto il lessico di base della progressione in cordata.
Il protocollo dei vari "Molla", "Libera", "Blocca", "Parti", "Recupera" ci mancava nè avevamo pensato di metterlo a punto durante il percorso di avvicinamento (forse fatto un pò di corsa, perchè il meteo era incerto).
A ciò va aggiunto che la Segantini non si è smentita e ci ha regalato tutto il suo repertorio di nebbie fumiganti contribuendo ad incrementare le incomprensioni.
E' venuta fuori così un'escursione particolare, solo noi sulla via (era un lunedì) mentre un'altra cordata era impegnata su un altro dei torrioni che sostengono la cresta.
Questi, incontrati dal resto del gruppo, hanno detto che "si, c'era qualcuno in cresta, ma sembrava che non si capissero granchè!".
Azzeccato! Siamo comunque giunti giunti in cima prima degli altri. Temendo di fare tardi (e temendo il temporale) infatti abbiamo fatto molti tratti di conserva e di gran carriera segnando così, nonostante le pause e le soste dovute all'incomprensione linguistica, un buon tempo.
Purtroppo il reportage fotografico è scarno, nebbie e nuvole, con qualche squarcio qua e la.
Un camoscio ci osserva curioso. Dovre andranno così di fretta?
Le impressioni lasciate nell nostro animo sono state ampiamente positive, confermate da certi sorrisi "ebeti" tipici di chi gode nell'arrampicare in ambiente.
Alla partenza speranzosi nel sole!
Grazie Grignetta (prima o poi ti percorrerò col sole!) e grazie a Salvador per la compagnia.

giovedì 18 luglio 2013

Al Vajont per un trekking della memoria

Il monte Toc col la frana.

Quest'anno ricorre il 50° dell'alluvione del Vajont.


Ci sono degli avvenimenti cardine, dei punti di snodo della nostra Storia, che vengono etichettati come "Tragedia" o "Disastro" ma che, in realtà, sono stati delle Stragi.
La gola sotto la diga.
In fondo si vede Lavarone

Mancava il movente eversivo o destabilizzante ma , per il resto, sono stati individuati responsabili ed i corresponsabili.

Che, come troppo spesso è avvenuto, non hanno pagato il loro debito (se non con la propria coscienza).

Nel bosco vecchio.
Gli alberi, sdraiati dalla frana, hanno riconquistato il cielo.

Ero scettico sull'unire nello stesso fine settimana il piacere di un'escursione in montagna con la rivisitazione di un fatto storico così tragico. Anche perché la componente vojeuristica è imbarazzante.

Come definire, altrimenti, le visite ai luoghi tragici della nostra storia recente?

Canalone sotto il Duranno
I veri e propri picnic alle varie Avetrana e Cogne?

La visione della magistrale rappresentazione di Paolini ha contribuito non poco a farci rompere gli indugi e decidere di partire.


Ne è valsa la pena.
 
Sulle creste della val Zemola
L'elenco dei disegni, uno per ognuno dei bambini deceduti (che sarebbero ora i nostri quasi coetanei, o zii, o fratelli maggiori) è toccante.

La visione dell'enormità della frana, che a monte ha letteralmente riempito la diga lanciando l'acqua del lago in alto di 200 metri prima di scagliarlo giù per la gola su Longarone fa capire in modo netto e chiaro che i responsabili ci sono e non potevano aver capito cosa avevano innescato.

Insomma, c'erano tutte le premesse per evitare quelle 2000 morti e lo strazio di tante famiglie divise ed estirpate da casa loro.
Camosci sugli strapiombi del Duranno

Ai tempi coloro che protestavano erano tacciati di essere dei sobillatori, antistorici, oppositori del progresso e della modernità.


A sentire le cronache dei giorni d'oggi pare, ahimé, che non sia cambiato molto, se c'è chi ancora chi cerca di discolpare l'Ilva di Taranto o sottrarre alle proprie responsabilità i dirigenti dell'Eternit. Ora torniamo alle dolomiti friulane ed al resoconto escursionistico.


Panorama sulle Dolomiti bellunesi.
Si tratta di montagne stupende, al confine tra due monte e quindi poco frequentate. Come ci ha detto un forestale incontrato sui sentieri vanno conquistate con il sudore, ma ricompensano con panorami e sensazioni di libertà.


Il bosco è sempre fitto fin sotto le cime, i pini mughi si arrampicano ovunque e ti carezzano costantemente nei canali e sulle creste.


Il monte Duranno
Un'esplosione di fiori e profumi che riempiono i polmoni di buoni aromi.


Andateci, visitate la diga e poi le montagne, e, quando tornate a casa, non abbassate la guardia, anche il parchetto sotto casa può aver bisogno di essere difeso.