Loricati in abito bianco

Loricati in abito bianco
Loricati su Serra Crispo

mercoledì 5 ottobre 2011

Dal nanetto della val Ladrogno.


Diverse volte passando dalla val Codera avevo visto le indicazioni per il bivacco Casorate Sempione, ma l'ho sempre ritenuto troppo lontano per fare una escursione da toccata e fuga in giornata.
Il problema in questi casi non è la salita, che poi alla fine si fa, ma la interminabile discesa, problema che non si pone nella pratica dello sci d'alpinismo (attività più gratificante, per me, si fa un pò di sana fatica in salita, godendosi in lentezza l'ambiente, e poi alla fine si conclude la giornata con una bella discesa liberatrice).

Il bivacco però è anche situato in una zona di grande belleza ed isolamento, sotto il piz Manduino che, con la sua parete sud, domina l'accesso a Valtellina e Valchiavenna con uno slancio non di molto inferiore a quello della nord del Badile.
La primavera scorsa eravamo già saliti per la val Ladrogno, i canali erano attraversati da torrenti gonfi d'acqua su cui si passava su ponti di neve all'apparenza compatti, non c'era nessuno in giro e, sopo averne attraversati un paio abbiamo deciso per il dietro front.

Questa estate una serie di contrattempi hanno impedito di fare molte attività in montagna, ma, ai primi di agosto. abbiamo trovato il modo di concludere questa salita, con l'obiettivo di traversare poi in valle dei Ratti e salire il Ligoncio.
Un minuzioso studio del meteo fa sperare bene, in realtà il tempo sembra incerto ovunque ma sulla nostra meta sembra che debba tenere.
Partiamo quindi nonostante le nuvole (diciamo nebbia ma sono proprio nuvoloni che hanno scaricato parecchia pioggia nei giorni passati), anzi, sono la scusa per ritardare alle 9 la partenza.
La salita in val Codera è veloce, grazie a nuvole di zanzare inferocite che ci marcano ad uomo.
Nei posti in cui il sentiero è protetto dalle gallerie di cemento scorrono veri e propri fiumi di acqua, residui delle piogge dei giorni passati.
Usciti al paese scendiamo verso il bel ponte che scavalca il fiume e poi su, dritti per una salita senza scampo.

Prima sosta nei pressi della baita in località 'in cima al bosco'. Un posto davvero favoloso, chissà quanto spesso ci viene il proprietario, non proprio dietro l'angolo. Trovo anche dei porcini che lascio a malincuore a bordo sentiero.
Dopo una pausa rifocillatrice si riparte cominciamo ad addentrarci sempre più nella valle. Man mano il senso di isolamento e di abbandono della cosiddetta civiltà si acuisce. Basta così poco per sperimentare la wilderness, non serve fare viaggi di giorni, basta mettersi le gambe in spalla e saper cercare, dove non ci sono strade la natura riprende il sopravvento.

I nuvoloni non accennano a diradarsi, ma ormai ci diciamo che, se pure piovesse, in un paio di ore il bivacco dovremmo raggiungerlo. In ogni caso abbiamo varcato il nostro Rubicone.
L'ultimo residuo di alpeggio che incrociamo è dimesso, è stato abbandonato o forse è usato solo comne ricovero temporaneo per brevi periodi in estate.
Il sentiero è segnato discretamente, usiamo alla fine dal bosco e, in campo aperto, dopo qualche ultima giravolta, rintracciamo il bivacco.
E' addossato ad un grosso masso, che lo occulta alla vista dal basso, su un costone su cui è protetto dalla valanghe che sicuramente spazzano tutti i pendii circostanti.
Un vero nido d'aquila, in posizione dominante sulla valle con la bella parete nord-ovest del Manduino che incombe.
Delle capre ci si fanno da presso, sembrano particolarmente interessate ai calzini messi ad asciugare.

C'è poi, di guardia, un simpatico nanetto (dal ragguardevole peso, chissà che spirito ha animato il suo trasportatore, sicuramente particolare). Ci racconta che è fuggito dalla città (Milano) per cambiare vita e godersi la montagna.
Recuperiamo l'acqua e ci apprestiamo a prepararci da mangiare ed a goderci lo spettacolo del tramonto per il quale siamo in posizione privilegiata. Purtroppo non avevamo fatto i conti con gli scrosci residui, e dopo un paio di spruzzi di poco conto, arriva una violenta grandinata che ci fa riparare all'interno.
L'aria piuttosto fresca blocca qualsiasi proposito di goderci il cielo stellato, la stanchezza poi si fa sentire. Ci accucciamo quindi a goderci il meritato riposo, interrotto di tanto in tanto dalla capre che si scontrano e scornano e ribalzano sulle pareti di lamiera del bivacco.

Il giorno successivo ci avviamo su per la valle verso 'la porta', accesso verso la valle Arnasca. La mattinata è assolutamente limpida e, man mano che si sale, la vista si allarga sempre di più verso l'alto lago di Como, la Est del Rosa bianca di neve e varie altre cime delle Alpi occidentali.
A terra c'è un discreto strato di grandine che tende a rompersi, occorre quindi una certa attenzione.

Speciamente nel tratto tra la porta e la bocchetta di Spassato il passaggio è delicato, le roccie sono friabili, c'è grandine e la roccia è ricoperta qua e là di vetrato non immediatamente distinguibile. Tra l'altro non ci sono nè catene nè punti di assicurazione e ci sono diversi massi instabili.
Passato il punto critico caliamo per un canale verso l'alta valle dei Ratti ed attraversiamo per ampie placconate fino a portarci sotto il Ligoncio.
Siamo nel regno della pietra, tutto l'alto circo della valle è dominato da pareti rocciose, dal Manduino, alle cime di Caiazzo, fino al Ligoncio.

Risaliamo il canale che porta allo strapiombo sulla valle Arnasca ed individuiamo (non ci sono bolli od indicazioni) un punto di passaggio da cui cominciare la salita finale, delicata per la presenza di grandine e vetrato. La roccia invece sembra peggio di quel che è, dopo qualche zig zag sbuchiamo sulla cupola sommitale da cui raggiungiamo agevomente la croce di vetta.


La vista è apertissima ovunque, dal pizzo di Prata (mia croce e delizia) alle cime della val Chiavenna, all'alta val Codera. Poi, giusto di fronte a noi, tutta la val Masino con Badile, Cengalo, Cima di Castello, Disgrazia eccetera.
Uno spettacolo su cui comincia a calare qualche nuvola. Specialmente il Badile nel giro di mezzora è completamente coperto.
Ci rifocilliamo e ci apprestiamo alla lunghissima discesa fino a Verceia, sono 2700mt di discesa su un percorso di 25 km.
I piedi tremano all'idea ma gli tocca!
A proposito di affollamenti estivi, in due giorni abbiamo incontrato solo un pastore in val Ladrogno, i primi escursionisti li troveremo poco prima di Frasnedo.

venerdì 9 settembre 2011

Nel cuore di ghiaccio dell'Engadina.


Il massiccio del Bernina, il più orientale dei 4000 delle alpi, richiede capacità scialpinistiche di un certo livello.
I pendii sono ripidi ed i ghiacciai molto crepacciati, l'esposizione a Nord inoltre fa si che le condizioni buone si presentino sempre
a stagione avanzata e per un periodo limitato di tempo, per cui anche i periodi di fattibilità in sicurezza a disposizione sono limitati.

C'è di buono che l'avvicinamento può essere reso più agevole con i vari impianti sciistici del comprensorio di St. Moritz.
A fine Aprile c'è stata un'ondata di caldo eccezionale, e mi ero illuso di poter fare qualcosa in val di Fex partendo dal parcheggio del Furtschellas.
Risultato, abbiamo trovato la neve più orribile mai vista in vita mia. Quasi impossibile sciare, si aprivano buche immense, con gli sci si affondava tra le ginocchia e la vita e se si sganciavano
gli attacchi per disseppellire gli sci ce ne voleva.

Si è però deciso, per la settimana successiva, di staccare il biglietto 'one way' fino in cima al Furtschellas e da li scendere e puntare al Chaputschin.
Decisione ottima, le piste sono state mantenute in buono stato fino al parcheggio a ma a lato sotto i 2200 non c'era più neve.
Dal punto più alto degli impianti, la forcella di ... Furtschellas scendiamo verso il lago Alv tagliando parecchie slavine staccatesi per il gran caldo della settimana.

Alcune sono enormi e, soprattutto, si sono staccate su pendenze ben inferiori a quelle di attenzione. Hanno triturato tutto, in questa roba non ci sono arva e pala che possano aiutare.
Passati un pò di questi accumuli si comincia la risalita del ripido ma sempre ben percorribile pendio che immette al colle da cui si entra sul vadrettin del Chaputschin.
Il ghiacciaio in alto è in condizioni ottime, ben coperto e preannuncia una bella discesa.

Arrivati alla fine del ghiacciaio si lasciano gli sci e per roccette e neve si supera uno spigoletto da cui si accede alla cresta finale che porta alla cima.
Il tempo è bellissimo, l'affaccio verso sud è spettacolare. Si vedono da Est il Bernina con la Biancograt, il Roseg con tutto il bacino, il piz Sella, il Gluschaint, il piz Tremoggia ed il Disgrazia a chiudere a Sud.
Non ci sono tracce di passaggio, in alto nessuno si è azzardato ad andare.
In vetta che una vera e propria torre si sassi con tanto di bandierine tibetane, c'è un panorama a 360° senza centri abitati in vista, solo montagne.
Ricalzati gli sci ci godiamo una prima parte di discesa magnifica, sulla neve fresca caduta nell'ultima notte. Il pendio che riporta verso il lago
presente un fondo ben compatto che, unito alle belle pendenze (35/40 gradi), permette di godere anche della seconda parte della discesa.
Quasi in fondo ci teniano sulla destra in modo da ridurre il più possibile la risalita. Sganciamo i talloni e ci avviamo alla lunga risalita fino al colle di arrivo degli impianti.
Qui non c'è un filo di aria ed il sole picchia, siamo agli sgoccioli e la salita dura più di quanto pensassimo (anche perchè insistiamo a non rimettere le pelli).
Raggiungiamo l'arrivo degli impianti con il sole che sta quasi per tramontare, i gatti delle nevi hanno appena battuto tutte le piste, cerchiamo di stare quindi a lato per non incorrere
nelle ire elvetiche. Anche quest'ultima discesa è fantastica, l'ultimo sole risplende sui laghi dell'engadina su cui il ghiaccio si apre.
Sembra di essere su una specie di fiordo che si affaccia sul pack artico. Fantastica giornata, siamo in giro da 11 ore ed abbiamo quasi 2000 metri di discesa, tutti in neve da buona ad ottima!

mercoledì 20 aprile 2011

Vagando sulle tracce dei lupi del Pollino


Ognuno è affascinato da un animale in particolare, ognuno di noi ha un animale totemico.
Generalmente si tratta di pochi animali simbolo: l'aquila, il falco, il lupo, il leone, l'elefante.
Per me questo animale è il lupo. Vive in condizioni disagiate quando non estreme, mantiene la sua individualità pur vivendo,
e bene, in un gruppo.
E' fiero e non svende la sua libertà pur essendo molto simile al cane che spesso lo fa.

Purtroppo tra cappuccetti rossi e porcellini vari hanno fatto di tutto per farcelo temere.
Se però dopo tutti questi condizionamenti il lupo continua ad ammaliare molti,
vuol dire che il suo fascino ha a che fare con qualcosa di profondo che è in noi.
Avendo dei giorni di ferie ho giocato la carta Pollino ma ero scettico, date le forti sciroccate di questa primavera anticipata, di poter fare uso degli sci.
L'inizio della settimana è un pò perturbato, con venti dominanti dai Balcani. Per cui promette bene per il mantenimento del freddo e magari anche per l'aggiunta di qualche fiocco di neve.
Il primo giorno in cui sembra che il peggio sia passato si va al Pollino e si punta verso i piani.

La prima sorpresa, positiva, è che la neve comincia proprio da Colle dell'Impiso, per cui si parte sci ai piedi. Non c'è nessuno, già normalmente con è che si faccia a spintoni, adesso poi siamo fuori 'stagione' e c'è stato maltempo.
Le uniche tracce che si intravedono sono quelle di cinghiali, volpi e... le prime del lupo.
L'impronta del lupo è simile a quella di un cane di buona taglia, la traccia differisce perché l'impronta è allineata e non affiancata.
Il lupo è costretto a fare tanti km per alimentarsi e quindi marcia in modo da ridurre al minimo la fatica.

Quindi, anche se in branco, avanza sempre in fila riutilizzando le tracce di colui che guida il gruppo ed è difficile dalle tracce capire di quanti esemplari di tratta.
Sbucati ai piani il paesaggio è surreale e fantastico, le cime non sono visibili e le nubi incombono.
Di neve invece ce n'è tanta, più di quanto mi attendessi, ed è ben compatta.
Ci avviamo verso la fascia superiore dei piani transitando vicino ad alcuni faggi letteralmente scolpiti dalle ultime bufere da NE.
Si alternano parziali schiarite a ricoperture, la visibilità oscilla tra pochi metri e poche centinaia di metri.

Ad un tratto, mentre ci troviamo ad un centinaio di metri dal bordo della parte superiore dei piani, un'improvvisa schiarita ed eccoli la, una coppia di lupi ci osserva curiosa.
Il momento è intenso ed emozionante, brividi di pura emozione. Dopo pochi secondi i lupi scompaiono, anche loro stupiti di trovarsi di fronte degli umani che hanno ben imparato a temere.
Ci avviamo, con non eccessiva fretta ;-), verso il posto dell'avvistamento e vediamo le chiare e nette impronte.

Intanto il tempo non accenna a migliorare e ci avviamo verso la grande posta a far visita a "Zu Peppe", i resti del grande pino simbolo del parco.
Ci rifocilliamo comodamente seduti sui resti del grandi rami che, a tanti anni di distanza dall'incendio, continuano a non volere crollare al suolo.
Sarà il tempo con la visibilità che oscilla da 10 a non più di 50 metri, ma la suggestione è tanta e mangiamo spalla contro spalla e sono contento di avere dietro la piccozza.

Una improvvisa schiarita fa intravedere parzialmente i pendii di Serra delle Ciavole, e sono assolutamente fantastici!
Ci avviamo allora in quella direzione, alla peggio si scenderà pian piano, non possiamo non salire in vetta, il posto lo conosco a menadito.
Si sale tra le nubi con i pini loricati scolpiti dal ghiaccio che sbucano tra le nebbie, incrociando ancora le tracce dei lupi (saranno sempre gli stessi due?).

Mi piace pensare che non siano semplicemente in cerca di cibo ma spiriti inquieti in cerca di risposte, di sicuro provo uno strano piacere nell'incrociare queste tracce, l'inquietudine di prima è sparita.
Arriviamo in cima nella nebbia totale, togliamo le pelli facciamo due foto e ci approntiamo per la discesa.
Ed ecco che Apollo in persona squarcia le nubi e ci consente una fantastica discesa in piena luce e visibilità,
sicuramente un'escursione indimenticabile, di quelle da conservare per sempre nell'album dei ricordi.

martedì 5 aprile 2011

Al Duan con gli sci.


Le escursioni in montagna andrebbero pianificate accuratamente.
La conoscenza dell'orografia del percorso che si intende effettuare, unitamente alle previsioni meteo, consentono di di ridurre i rischi ed anche di intraprendere, all'occorrenza, dei percorsi alternativi senza andare alla cieca.
Se poi si va con gli sci da alpinismo è fondamentale, oltre a conoscere l'orografia, anche avere informazioni sullo stato di pericolosità del manto nevoso nonché sulla pericolosità intrinseca del percorso.
In questo modo si possono affrontare nuovi percorsi senza correre rischi inutili.

La salita al Piz Duan è di quelle dichiarate "da affrontarsi solo con neve assestata", in primavera avanzata. Ma in quel periodo in genere è necessario portare le sci a spalla per un'ora prima di entrare nella val Maroz, per cui scoraggia i pigri. Scoraggia poi ulteriormente il lunghissimo avvicinamento per la valle prima di attaccare i pendii più ripidi.
Quella mattina il grado di rischio per valanghe era dato a 2 (in Lombardia) più alto (3) ad ovest (in Piemonte) ed ad est (Trentino e Friuli). In ragione di ciò pensavo di andare in alta Engadina.
Transitando all'altezza di Casaccia però noto sul sentiero che sale in val Maroz due persone che salgono con gli sci e faccio quindi inversione di marcia decidendo di punto in bianco di provare a salire in valle.

Se non ci sono le condizioni vuol dire che ci fermeremo alle baite di Maroz Dent, non bisogna per forza arrivare in cima ad un cucuzzolo! E poi c'è neve sin dal fondovalle, quindi si parte sci ai piedi dal parcheggio.
La nostra concezione delle sci d'alpinismo è di una attività che consente di vivere la montagna invernale facendo dei bei giri in ambiente, non ci interessa triturare millemila :-D metri di dislivello l'ora (le gambe sono quelle che sono) e ridiamo dei personaggi in tutina fosforescente e camel bag (ma avranno anche un catetere per non fermarsi a fare pipì)?
Si parte quindi per il sentiero, tagliando qui e la nel bosco, fino a giungere all'ingresso della valle.

Ci accoglie il palo segnaletico sepolto dalla neve, fuoriesce solo la freccia sommitale. Ci rendiamo anche conto del perché il percorso che va al Septimer è dato come a forte rischio valanghe, è ripidissimo e le valanghe hanno già scaricato tutto in valle. Anche la sinistra orografica della valle, da cui risaliamo sulla traccia dei nostri predecessori, è invasa da resti di valanghe scese dai ripidi versanti sud su cui la neve è però assolutamente assestata.
Più ci si addentra nella valle e più si sente di essere in un mondo a parte, anche se siamo a pochi km in linea d'aria dalla strada per S.Moritz c'è un forte senso di isolamento che già avevamo assaporato l'estate scorsa quando, in una escursione di 11 ore, avevamo incontrato solo due persone salendo il Duan, scendendo per la cresta Ovest e riattraversando poi tutta la valle.

Alle baite ci rendiamo conto che c'è da scendere prima di riprendere a salire. Se non avessimo davanti un gruppo di quattro persone credo la nostra escursione finirebbe qui, a prendere il sole e fare un picnic. Invece, con una traccia battuta, come si fa a fermarsi?
Proseguiamo quindi e notiamo che il gruppo ha tentato la salita al passo della val Erta (nome adeguato) abbandonando e riprendendo la traccia verso il Duan, dopo una cinquantina di metri di dislivello. Hanno evidentemente valutato come pericoloso il pendio (ma l'altro non è che sia meno ripido).
Segno comunque di prudenza; tra l'altro riprendendo la salita sui versanti esposti a N mi rendo conto che ci sono almeno 40 cm di neve farinosa. Mi rendo anche conto che invece di seguire il percorso indicato in tutte le relazioni (sulla sinistra orografica della valle, passando per la località indicata come Magnocca ) puntano chiamante sull'altro versante, seguendo il tracciato del percorso estivo che percorre una sponda tra il ripido canalone e l'ancora più ripida sponda ad E del lago della Duana.

Segue una sorta di cresta dovrebbe essere abbastanza sicura, anche se però potrebbe essere spazzato da valanghe che arrivano dall'alto. Lassù comunque non c'è nessuno per cui ci fidiamo del fatto che non ci saranno distacchi spontanei.
Continuiamo quindi a seguire la traccia, ripida ed in bilico tra due pendii, tanto invitanti quanto pericolosi e da evitare quindi in discesa.
Arrivati quasi in cima al pendio ci incrociamo con le persone che hanno cominciato la loro discesa.
Ci chiedono se pensiamo di andare in cima e confermiamo che ci fermeremo a breve anche noi. Gli faccio fare una risata perché loro dicono che dovremmo offrirgli da bere per la traccia che ci hanno fatto ed io gli rispondo che semmai si stanno prendendo le maledizioni di Caterina che fatica a proseguire e sa che, senza traccia, ci saremmo fermati da un bel pezzo.
Si raccomandano di non uscire dalla fascia di salita al ritorno e proseguono con la discesa.
Raggiungiamo al cima che sovrasta il Lago della Duana dopo aver superato le ultime ripide rampe con la neve inconsistente che non facilita la salita e chiudiamo qui l'escursione.
Il panorama è magnifico, il ghiacciaio del Duan è intonso, per arrivare in cima ci vorrebbero almeno altre due ore.
Ci rifocilliamo e ci avviamo in discesa con un pò di preoccupazione. Il senso di isolamento è fortissimo, le uniche tracce umane che si vedono solo baite (disabitate) di Maroz Dent, ci siamo solo noi e non c'è segnale telefonico.
Non si devono commettere errori di sorta.
Dopo le prime curve però le preoccupazioni lasciano il posto alla gioia delle curve in neve farinosa. Si galleggia sugli sci con la neve fino alle ginocchia, la discesa è veramente fantastica fino al pianoro che precede le baite. Qui bisogna risalire una quarantina di metri prima di riprendere la discesa.

Più in basso passiamo su accumuli di valanghe e qualche tratto di neve crostosa, un'altra piccola risalita e quindi giù per il bosco fino al parcheggio.
Per radio sentiamo le notizie della giornata, un morto per valanga in Piemonte, un altro in Friuli. Un esperto polemizza dicendo che in una giornata così non si dovevano fare escursioni sci-alpinistiche (ma se il bollettino dava un livello 2 di pericolosità sia in Lombardia che nei Grigioni!) Di certo una regola che valga per tutte le zone non può esserci. Siamo stati saggi o solo fortunati?

venerdì 14 gennaio 2011

Il Pollino è sempre una sorpresa

Nella seconda spedizione post-Natalizia si punta al Pollino.La speranza è che, essendo passati 3 giorni dalle ultime nevicate e, soprattutto, essendo nel periodo Natalizio, le strade saranno state sgombrate dalla neve.
Pia illusione, dopo il fatidico tornate di Serra dell'Abete si vede che la neve non è stata smossa, si vede il primo soffione di una certa consistenza e le prime macchine accostate a lato strada. Oltre sono andati solo i 4x4 veri, quelli alti duri e puri.

Non oso tentare la sorte, accosto e già per parcheggiare mi impantano in una cunetta, devo lavorare di piccozza per togliere il ghiaccio e dare presa alle gomme (ho le catene ma tanto visto che mi fermo qui che le metto a fare? Ho già le gomme da neve).

Due escursionisti bolognesi mi chiedono quanto manchi a colle Impiso, gli dico che sono circa 4 km, e si avviano entusiasti :-) con le loro ciaspole.

La fregatura è che lo strato nevoso fino al tornante del Visitone non è uniforme e bisogna saltare qui e la per non grattare le preziose pelli.
Dopo la neve è tanta, ma la jeep ha insistito a raggiungere il colle dell'Impiso, anche a costo di rischiare di distruggere il mezzo, avrà avuto paura di raffreddarsi i piedi! ;-)


Nel bosco la neve è tanta, memore della fatica fatta in passato nel tratto tra Rummo e l'uscita dei piani punto al Pollino, così sfrutto anche delle tracce preesistenti.
L'aria è gelata ma il sole è tiepido e non c'è vento, si sta da favola.
A Gaudolino la pacchia delle tracce finisce e sul traverso ascendente nel bosco che porta ad uscire sulla grande dolina la fatica è improba.


La neve è tanta ed inconsistente, si deve avanzare a piccoli passi.
Nell'ultimo tratto prima dei pini loricati che fanno da sentinella all'uscita del bosco devo fare parecchie giravolte, mai vista tanta neve qui, in genere bisogna caricarsi gli sci in spalla.

Il paesaggio è lunare, il vento comincia a farsi sentire, ci copriamo ben bene e proseguiamo.
Il traverso che solitamente è ghiacciato e richiede i ramponi/rampanti è transitabile senza patemi ma la neve è già stata quasi tutta soffiata via.

Attraversato il canale con le dovute cautele ci rendiamo conto che sul versante sud la situazione neve è ben diversa, qui il sole e le sciroccate preesistenti hanno ridotto di molto il manto ed il vento ha quasi del tutto spazzato via la neve nuova. Visto che non conosciamo le condizioni della Nord dovremmo quindi ridiscendere da qui. Essendo inverno bisogna anche mettere in conto il fattore tempo, le giornate sono corte. Decidiamo allora che possiamo rinunciare alla cima e goderci la discesa sul Gaudolino.

Nel traverso incrociamo, caso raro da queste parti, altri due scialpinisti.
Anche loro arrivano da Bologna ed anche loro hanno fatto un lungo avvicinamento per raggiungere l'Impiso. Sono arrivati da Campotenese ed hanno dovuto parcheggiare prima di Ruggio, al Colle del Dragone.
In compenso hanno trovato tutta la traccia battuta, il che non è male.
Gli dico che non andranno molto più in la, e forse la cosa non gli dispiace del tutto.
La discesa è la migliore mai fatta in assoluto su questo percorso, puro galleggiamento con traccia obbligata ma abbastanza larga nel bosco.
Al colle ci fermiamo un po per goderci il l'ultimo sole ed il silenzio del posto, poi riprendiamo a scendere nel bosco gelato.
Ci rifermiano in fondo per ripellare per risalire al colle dell'Impiso e goderci l'ultima vista del Pollino nella luce del tramonto.
Risaliamo con calma al colle e li di nuovo via le pelli per l'ultima discesa nella strada o ai bordi fino a raggiungere la macchina.

martedì 11 gennaio 2011

Tra le nebbie del Sirino

Descrizione1Le ultime perturbazioni sono passate a cavallo del Natale favorendo gli accumuli nevosi in montagna e quelli adiposi su di noi.
La tipica escursione di assaggio, per rendersi conto della situazione neve senza rischiare di impantanarsi sulle strade del Pollino, che notoriamente non sono spazzate regolarmente, è quella al massiccio del Sirino.

Qui ci sono degli impianti di risalita di recente risistemati, che consentono sciate di buon livello.
Ci sono anche svariati pendii che consentono belle sci alpinistiche su belle pendenze. In caso di meteo incerto si può comunque ripiegare sulle piste per un rientro agevole.



La montagna non va sottovalutata, ci sono svariate creste e valloni che nelle parti alte possono richiedere i ramponi ed in caso di scarsa visibilità è facile perdere l'orientamento se non si conoscono i luoghi o non si dispone di bussola, altimetro e/o GPS.
Alcuni pendii poi in caso di nevicate abbondanti possono scaricare, vanno quindi valutate opportunamente le condizioni anche se, essendo la costa di Maratea a soli 20km in linea d'aria, l'assestamento è in genere rapido.

L'uscita dal bosco, sulla cresta

La zona è facilmente raggiungibile dall'autostrada A3 dalle uscite di Lauria Nord o Lagonegro Sud (evitando i periodi di traffico intenso per evitare le code dovute ai lavori che interessano ora proprio quella zona).
Si può partire dal Parcheggio della Conserva di Lauria o del Lago Laudemio (o da dove si riesce ad arrivare con l'auto) ma generalmente qui le strade sono tenute sgombre.
Optiamo per la Conserva proprio per evitare il tratto autostradale incriminato, la strada è pulita, con qualche placca di ghiaccio sui tornanti, ma le gomme da neve fanno il loro dovere.

Seguiamo il primo tratto di pista ed i piloni di uno ski-lift (a cui non sono ancora agganciati i piattelli) fino alla cresta che divide dal Laudemio.
Qui seguiamo la cresta della Timpa Scazzariddo (curioso nome) con l'idea di raggiungere la cima poi traversare e raggiungere il Monte del Papa passando per l'arrivo della seggiovia.

Abbiamo però fatto i conti senza l'oste, delle nubi ci avvolgono completamente ed all'uscita dal bosco ci rendiamo conto che il filo della cresta presenta dei sassi, occorre quindi stare a su uno dei versanti.

Avendola percorsa qualche anno fa e ricordando che i pendii sono sostenuti (credo sui 45°) si punta sul lato dx con puntando a passare alti sulla faggeta.
Prima o poi dovremo raggiungere il canalone con la pista di discesa del Laudemio.
La neve nel bosco è tanta, almeno 1 m fresca, puntiamo a contornare il bosco per evitare dei salti di roccia che ricordo da questo lato.

Alla fine arriviamo in un anfiteatro sotto un bello sperone roccioso che sbuca momentaneamente tra le nebbie. Da qui avvistiamo momentaneamente i piloni della seggiovia a cui puntiamo con una diagonale nel nulla. Raggiunti i piloni seguiamo il tracciato della pista, non battuta, e raggiungiamo la stazione di arrivo.
Dopo un ristoro ed un po di attesa ci rassegniamo a scendere nella nebbia, il rammarico è di dover andare giù trattenuti data la visibilità di circa 20 m, da un pilone non si vede il successivo.
Arrivati alla stazione di partenza risaliamo la pista che ci porta sullo spartiacque tra le due valle dove con una bella discesa su polvere impalpabile (le nebbie si sono improvvisamente diradate, per fortuna) ritorniamo al parcheggio.