Loricati in abito bianco

Loricati in abito bianco
Loricati su Serra Crispo

sabato 21 giugno 2014

Nelle Apuane dal cuore di marmo aperto

All'inizio della ferrata. Di fronte alla Nord del Pizzo d'Uccello
Dopo aver tanto sentito parlare delle Apuane non potevamo non farci un salto, gli abbiamo dedicato un WE allungato visto che comunque non è proprio a due passi.
Il gruppo si staglia e fa notare a distanza.
Decidiamo di fare la prima escursione partendo da Vinca.
L'ultima parte del percorso stradale è tortuosa. Si incontrano anche dei Tir che portano blocchi di marmo o che vanno alla cartiera.
L'accesso a Vinca è per una gola gola strettissima, non stupisce che da queste parti i Romani abbiamo trovato pane per i loro denti.
Gli Apuani, secondo molti storici, attirarono i Romani in un impervio canalone che da allora fu battezzato col nome di Saltus Marcius, dove i cavalieri maledirono i propri cavalli,
dove le lunghe lance dei fanti rimanevano impigliate nella boscaglia, e le pesanti corazze impedivano la necessaria agilità.
La cresta del Sagro

Qui erano presenti anfratti e nascondigli noti soltanto al nemico.
I Romani arrivarono a spogliarsi ed a gettare le armi soltanto per poter fuggire meglio:
“…prius sequendi Ligures finem quam fugae Romani fecerunt” (smisero prima i Liguri di inseguire che i Romani di fuggire)
Successivamente i Romani si sono rifatti con gli interessi e, per stare tranquilli, hanno finanche deportato 40000 persone nel Sannio.
I pochi rimasti si sono adattati al nuovo status quo ed i Romani sono diventati i primi a sfruttare industrialmente il pregiato marmo con cui hanno testimoniato la loro potenza al mondo.

Da allora di marmo ne è stato scavato tanto e le cave hanno man mano risalito i pendii più impervi e rosicchiato tutte le montagne della zona.
Le case esaurite sono state semplicemente abbandonate e creano dei paesaggi lunari.
Scendi nel bosco con a fianco un ravaneto e sembra di avere a fianco un ghiacciaio.
Sei in un ambiente selvaggio, giri l'angolo e d'improvviso ti ritrovi in una discarica di pietre.

Ci si chiede quanto abbia senso tutto ciò. Parli con la gente del posto e ti dicono, con un velo di tristezza, che ormai, con i macchinari moderni, la gente che lavora col marmo è sempre meno.

Cave che squarciano boschi e montagne
Che quelli che si arricchiscono sono in pochi.
Interi versanti, specie dal lato di Carrara, sono stati mangiati via. E le cave risalgono su pendii impensabili.
Nel ultimi anni poi si è preso a non buttar via niente, ed anche gli scarti di lavorazione vengono triturati ed usati. 

Ciononostante ci sono ancora dei punti dove si respira lo spirito selvaggio di questi monti.
Molti percorsi sono non banali, bisogna praticare agevolmente quella che i catalani chiamano 'Grimpata', una via di mezzo tra camminata ed arrampicata vera e propria.
Creste in cui si sta sul filo del II/III grado.

Da Vinca facciamo un lungo percorso ad anello che ci porta, per la Punta 3 Uomini, sulla bocchetta del Sagro, da dove 'ammiriamo' le enormi cave di quel versante.
Ritorniamo a fine giornata a Vinca passando per la Foce di Vinca, la Foce di Rasori e le CapanneDellaCosta.

(PS Qui la toponomastica è diversa da altre parti ed i colli si chiamano "Foce".)
Nell'ultima parte del percorso passiamo in mezzo ad un bosco di castagni secolari, veri monumenti vegetali.
Ci spostiamo quindi in auto per portarci in Val Serenaia dove alloggeremo nel rifugio omonimo.
E' la sera di Italia-Costa Rica, nei paesini è un tripudio di bandiere, ma al rifugio siamo fuori dal mondo. Neanche la radio ha segnale (visto l'esito non è stata una grande perdita).
Dopo una buona cena e due chiacchiere con la signora che gestisce il rifugio (tappezzato di foto di Maraini, frequentatore del posto) andiamo a dormire.


Il giorno dopo avevamo intenzione di fare in discesa la ferrata del Pizzo d'Uccello ritornando poi con un altro anello, per la cresta di Nattapiana.
La vista sulla nord del Pizzo è magnifica, ma già mentre cominciamo la discesa le nubi cominciano  a nascondere le cime.
Le rughe della terra su una roccia

La ferrata è molto bella (in un paio di punti il cavo è rotto ma non crea problemi) e vediamo due cordate in parete.
Arrivati in fondo troviamo un cartello che indica che la ferrata è chiusa!!
Cavolo, se c'era anche sopra evitavamo di scendere, ma il bello viene dopo.
Infatti dopo essere scesi un altro paio di centinaia di metri, con a fianco la cava dove lavorano di gran lena, finiamo nel nulla.
Il sentiero letteralmente scompare tra rovi ed erba alta, facciamo un pò di tentativi ma non troviamo nessuna traccia.
Visto che cime e creste sono nelle nubi e che l'unica via d'uscita sarebbe attraverso la cava decidiamo di rifare, in salita, la ferrata, (non è difficile ma lunga ed a farla due volte la fatica si sente).
Ritornati su ci portiamo per cresta e sentierini alla Foce di Giovo da dove scendiamo verso il rifugio attraversando, alla fine, un'altra cava (dismessa ma vicino ce n'era un'altra in piena attività).

Un faggio sembra osservare chi passa nel bosco.
Gli 'occhi' sono cicatrici di rami spezzati.
Purtroppo le nuvole sulle creste non ci hanno mai abbandonato, neanche il terzo giorno, quando saliamo al rifugio Orto di Donna e ritorniamo giù passando per la Foce di Cardeto.

Chissà se è la vicinanza del mare o, come diceva qualcuno, semplici nubi di sollevamento dell'umidità notturna.
Fatto sta che alle 7 di sera rasserenava, la notte era stellato e po, dalle 10 del mattino, via con le nubi!

Concludendo, si tratta di montagne affascinanti e da non sottovalutare.
La bassa quota non deve trarre in inganno perchè i dislivelli son di tutto rispetto ed i percorsi alle cime quasi sempre richiedono una certa dimestichezza con la roccia.
Anche nei boschi, se si lasciano i sentieri tracciati, ci si può ritrovate in punti la cui esposizione è nascosta dalla vegetazione.
Una buona cartina e senso dell'orientamento qui sono più indispenzabili che altrove.

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